Ad occhi chiusi by Gianrico Carofiglio

Ad occhi chiusi by Gianrico Carofiglio

Author:Gianrico Carofiglio
Language: it
Format: mobi, epub
Published: 2010-08-02T15:13:43+00:00


21

Andare al supermercato mi rilassa. È sempre stato così da quando ero bambino. Allora mia madre ed io andavamo alla Standa di Corso Vittorio Emanuele, scendevamo al piano interrato, prendevamo un carrello e facevamo la spesa.

Mi ricordo il senso piacevole di freddo che si avvertiva scendendo l'ultima rampa di scale, entrando fra i banchi frigorifero e l'odore misto di cibi crudi. La carne nei banchi frigorifero, appunto – le verdure, la salumeria, la plastica; tutto mescolato in un odore unico, complicato e un po' asettico che era "l'odore della Standa", per me.

All'epoca non ce n'erano tanti di supermercati e andare alla Standa era un po' come andare al luna park della Fiera del Levante, che c'era a settembre, poco prima dell'inizio della scuola. Al supermercato della Standa c'erano alcuni prodotti che non si trovavano altrove. Per esempio certi formaggini in vaschetta, dall'aria vagamente esotica, dei quali non ricordo il nome. Ma il sapore sì, quello me lo ricordo bene; davano di prosciutto, una specie di gusto rustico, molto più intenso di quei triangolini che ero abituato a mangiare e che non sapevano di niente.

C'erano dei biscotti francesi che sembravano pasticcini. Erano un articolo di lusso e non si potevano mangiare come i biscotti ordinari, con il latte, per esempio. E c'erano tante altre cose con cui riempivamo il carrello che volevo sempre guidare io; cose che adesso riempiono la mia memoria con i colori sgranati e nostalgici di certe pellicole in superotto.

Credo che a tutti i bambini miei coetanei piacesse andare al supermercato. A me piace ancora adesso. Ci sono dei pomeriggi che non ne posso più dei clienti, delle carte, dello studio, delle telefonate con i colleghi.

Allora mi viene voglia di uscire, per andare in libreria, o al supermercato. Perlopiù me la faccio passare, quella voglia di uscire, perché ci sono altri clienti, altre carte, altri colleghi rompicoglioni con cui parlare al telefono. Qualche volta però, quando sono veramente al limite, esco. E qualche volta prendo la macchina, e me ne vado per un'ora, o anche due, in uno dei giganteschi ipermercati della periferia.

Mi da un senso di libertà girare di pomeriggio fra gli scaffali con un carrello e comprarmi le cose più inutili, il cibo più improbabile, i libri con lo sconto del venti per cento, gli articoli elettronici – che poi non uso mai – in offerta speciale. Quando rientro in studio mi sento meglio; non proprio impaziente di tornare a lavorare ma, insomma, meglio.

Quel pomeriggio ero appunto al mio supermercato preferito. Un capannone immenso nel bel mezzo di una delle periferie più degradate. Un posto quasi irreale.

Ero davanti agli scaffali del cibo etnico e stavo facendo incetta di tacos messicani, riso basmati, barattoli di zuppa di noodles tailandese, quando dalla tasca del giaccone sentii arrivare, in crescendo, le note di oh Susanna.

L'ultima improbabile suoneria con cui avevo personalizzato il mio cellulare. Non riconobbi il numero.

«Pronto?».

«Guido Guerrieri?». Voce di donna.

«Chi parla?».

«Claudia».

Stavo per dire Claudia chi? Poi la riconobbi.

«Ah, ciao».

Subito dopo mi ricordai che ci davamo del lei. Perché mi era venuto di dire ciao, non lo so.



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