Seconda Chance by James Patterson & Andrew Gross

Author:James Patterson & Andrew Gross [Patterson, James & Gross, Andrew]
Format: epub
Published: 2002-01-30T03:00:00+00:00

59

Percorremmo un lungo passaggio sotterraneo, accompagnati da Estes e da un certo O'Koren, un secondino capo che si portava appresso un manganello.

Quando arrivammo a una scala che portava la scritta ISOLAMENTO, il direttore ci precedette, facendo prima un cenno a un monitor della sicurezza, poi superando una massiccia porta - dotata di chiusura a compressione -, che si apriva su un braccio ultramoderno.

«Come la maggior parte dei nostri detenuti, Weiscz è arrivato qui da un'altra prigione, Fulton. Là era il leader della Fratellanza Ariana... almeno finché non ha strangolato un secondino di colore», mi spiegò Estes lungo la strada. «Si trova in isolamento da diciotto mesi. Finché non si tornerà alla pena di morte, in questo Stato, non potremo fargli altro.»

Jacobi mi sussurrò all'orecchio: «Sei sicura di quello che fai, Lindsay?»

Non lo ero affatto. Il mio cuore stava battendo all'impazzata e avevo le mani tutte sudate. «Ecco perché ho voluto che venissi anche tu.»

«Già...» borbottò lui.

Non avevo mai visto nulla di paragonabile a quell'unità d'isolamento a Pelican Bay. Ogni cosa era stata dipinta di un uniforme bianco asettico. Secondini ben piazzati - di entrambi i sessi, ma tutti di pelle bianca e vestiti con un'uniforme kaki - sorvegliavano il posto dai loro gabbioni di vetro.

Ovunque - ovunque - c'erano monitor e telecamere a circuito chiuso. L'unità somigliava a un baccello che ospitava dieci celle, ognuna dotata di una porta con chiusura a compressione.

Estes si fermò davanti a una porta metallica nella quale si apriva un'ampia finestra. «Benvenuta al ground zero della razza umana», disse.

Apparve una guardia massiccia e stempiata, che reggeva un elmetto con visiera e una pistola elettrica che sembrava un Uzi. «Abbiamo dovuto estrarre Weiscz, capo. Mi sa che ha bisogno di qualche minuto per sciogliersi.»

Guardai Estes, esclamando: «Estrarre?»

Lui sbuffò. «Dopo essere stati costretti in un buco per un paio di mesi, si dovrebbe avere una gran voglia di uscire, no? Be', tanto per farle capire che cosa l'aspetta: Weiscz ha opposto resistenza. Alcune guardie lo hanno 'sistemato' per lei.» Poi fece un cenno alla finestra. «Eccolo che arriva...»

Mi spostai di fronte alla porta massiccia, chiusa e sigillata, e scorsi una gigantesca massa di muscoli incatenata a una sedia di metallo, coi piedi nei ceppi e con le mani, passate dietro le spalle, serrate nelle manette. I capelli erano lunghi, sporchi e arruffati, mentre la barba era corta ma nient'affatto curata. Indossava una tuta arancione a maniche corte, aperta sul petto a rivelare gli elaborati tatuaggi che si estendevano dal torace alle braccia, entrambi gonfiati dall'esercizio fisico.

«Un secondino rimarrà qui con lei. Le telecamere di sicurezza saranno sempre accese. Stia lontana da lui. Non si avvicini a più di un metro e mezzo. Se lui alza anche solo il mento nella sua direzione, verrà immobilizzato.»

«Ma è legato e incatenato», obiettai.

«'Sto figlio di puttana se le mangia, le catene. Mi creda», replicò Estes.

«Posso promettergli qualcosa?»

«Ma certo», ridacchiò Estes. «Magari un Happy Meal... È pronta?»

Guardai Jacobi, che spalancò gli occhi, diffidente. Il mio cuore quasi si fermò, come se fosse stato un piattello centrato in aria e finito in mille pezzi.

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