Aspetta primavera, Bandini by John Fante

Aspetta primavera, Bandini by John Fante

Author:John Fante
Language: it
Format: mobi
Published: 2011-06-20T06:45:01.676000+00:00


Maria camminava inebetita, guardando ora qui ora là come se vedesse quel posto per la prima volta.

Arturo riempì il secchio di carbone. La carbonaia aveva un odore acre di calce e di cemento. A un travetto era appesa una tuta da lavoro di Bandini. La strappò dal chiodo e la squarciò. Non c’era niente di male se suo padre se la spassava con Effie Hildegarde, anzi la cosa gli andava a genio, ma perché sua madre doveva soffrire tanto, facendolo soffrire a sua volta? Ce l’aveva anche con sua madre; era veramente pazza a lasciarsi morire volontariamente, senza preoccuparsi di loro, lui, August e Federico. Erano tutti pazzi. L’unica persona della famiglia dotata di un minimo di buonsenso era lui. Maria era a letto quando Arturo rientrò in casa. Pur essendo vestita, batteva i denti sotto le coperte. Arturo la guardò e fece una smorfia d’impazienza. Insomma, era solo colpa sua: perché voleva andarsene a quel modo?

Tuttavia non poté fare a meno di simpatizzare con lei.

“Ti senti bene mamma?”

“Lasciami sola” gli rispose con voce tremante. “Lasciami sola, Arturo”.

“Vuoi che ti prepari una borsa d’acqua calda?”

Maria non rispose. Lo seguiva con la coda dell’occhio, rapidamente, con espressione esasperata. Lui ebbe la sensazione che quello sguardo fosse carico d’odio, come se lei non volesse vederlo mai più, come se fosse lui il responsabile della situazione.

Fischiò sorpreso; accidenti, sua madre era una donna ben strana; la prendeva troppo sul serio.

Lasciò la camera in punta di piedi, non perché la temesse ma per gli effetti che la sua presenza aveva su di lei. Quando August e Federico furono rincasati, Maria si alzò per preparar la cena: uova strapazzate, pane tostato, patatine fritte e una mela a testa.

Lei però rifiutò di toccar cibo. Dopo cena la trovarono al solito posto, accanto alla finestra, con lo sguardo fisso sulla strada bianca, il rosario che tintinnava contro la sedia a dondolo.

Strano periodo. Fu una serata di pura sopravvivenza. I ragazzi fecero gruppo intorno alla stufa, nell’attesa che accadesse qualcosa. Federico strisciò fino al dondolo e appoggiò una mano sul ginocchio della madre. Intenta com’era a pregare, la donna scosse il capo, come ipnotizzata. Era quello il suo modo di dire a Federico di non interromperla, di non toccarla, di lasciarla in pace.

Il mattino dopo era ritornata del solito umore, tenera e sorridente durante tutta la colazione. Le uova erano state preparate “alla maniera della mamma”, un piatto speciale, con il tuorlo velato dall’albume. E bisognava vederla! I capelli perfettamente pettinati, gli occhi grandi e ridenti. Quando Federico versò il terzo cucchiaino di zucchero nel caffè, lo rimproverò con finta severità.

“Non si fa così, Federico. Guarda me”.

Svuotò la tazza nel lavandino.

“Se desideri un caffè dolce, te lo preparo io”. Sostituì la tazza di Federico con la zuccheriera, che era piena a metà. Maria riempì il resto di caffè. Perfino August scoppiò a ridere anche se fu costretto ad ammettere che forse era peccato, quello spreco.



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